Il silenzio dei luoghi mentali – Continuità e cambiamento

Bruno Toscano

Nel percorso a me noto di Maria Teresa Romitelli il gruppo di opere ora esposte a Spoleto rappresenta nello stesso tempo continuità e cambiamento.
Continuità, perché un assetto formale tendente all’ordine e alla sintesi, evidentemente da interpretare come un indicatore profondo, è reperibile quasi costantemente nella sua pittura, perfino nella fase che a suo tempo ha segnato un accostamento a poetiche di tipo informale. Inoltre, la tela “La notte del 10 Agosto”, del 2014, che in questa mostra precede la serie intitolata “Silenzi”, dimostra che non sarebbe corretto parlare di un turning point, ma piuttosto di un passaggio senza scosse verso una spazialità semplificata e dilatata, venata di trasgressioni quasi impercettibili ma che fanno ancor più risaltare la norma.
Cambiamento, perché credo di poter dire che, per Romitelli, la pittura è stata a lungo tutt’uno con una riflessione delicata e appartata rivolta alla modernità, che però non perdeva di vista lasciti illustri, rivelati da squisitezze di stesura e da inserti preziosi. Non avrebbe còlto nel segno considerarla propriamente un mezzo per “socializzare”, tanto meno, direi, per perseguire contatti e perfino cooperazioni con le arti che sono state definite “positive”, come l’architettura e l’urbanistica.
Questa mostra prova che il passo è stato compiuto: innanzitutto, per la presenza, nello stesso contesto, dei disegni di Franco Purini e – allievo dotato di un grande maestro – di Fabio Fabiani; ma poi anche per l’evidenza che non si tratta solo di coabitazione, ma di una vera e propria concordia, tutt’altro che discors.
Allargando l’orizzonte, è da considerare che, in sincronia con impulsi molto diversi, è tuttora in atto un fenomeno di forte rilievo: una specie di redde rationem – dando alla locuzione un senso letterale – che coinvolge insieme il quadro, l’edificio, l’oggetto d’uso, la città ma anche l’environment. Si può parlare di un “ricorso”, che si manifesta concretamente nell’esito ma anche nella dialettica che lo ha prodotto. Infatti, quasi tutti i movimenti dell’arte occidentale del Novecento e, in particolare, della seconda metà del secolo hanno attraversato una fase più o meno impetuosamente espressiva per poi regolarmente approdare a forme piane e a cromie geometricamente ordinate. Un solo esempio: è noto che negli anni Sessanta sia negli Stati Uniti, sia in Europa, i protagonisti di nuovi movimenti variamente denominati, dalle Strutture primarie al Minimalismo, avevano tutti un passato neo-espressionista o anche neo-surrealista. La svolta fu, si può dire, totale. Il quadro tendeva ora ad essere non più che se stesso, si identificava con le sue campiture calibrate e i suoi calcolati equilibri cromatici. Via ogni sensibilismo e ogni passionalità, il modello vincente tornava ad essere, anche nelle gallerie e nelle collezioni, come quaranta anni prima nell’Olanda di De Stijl, impersonale e oggettivo.
Maria Teresa Romitelli ha voluto porre il frutto della sua più recente attività sotto il segno del “Silenzio”.
Con questa scelta, ha inteso dare un senso nuovo a una parola che da secoli i pittori hanno amato e fatto propria per tutto ciò che di profondo, e anche di ineffabile, suggerisce. Nei paesi anglosassoni le intere aree semantiche di silenzio e di immobilità sono espresse da parole famigliari agli artisti, come Stilleben e stili Life. In tanta ricchezza di significati, è probabile che il visitatore consapevole del suo percorso propenda per interpretare silenzio come componente di “ordine”, che implica anche “assenza di turbamento”.

2015

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